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Mentre eravamo tutti lì ancora a soppesare il pugno di Will Smith e le doti di incassatore di Chris Rock, ecco che il tema dei limiti della satira (segnaliamo al riguardo il bel libro di Sergio Spaccavento, Che cazzo ridi?, sempre di estrema attualità) risalta fuori stavolta su un fronte domestico.
Noto al pubblico televisivo per sue diverse comparsate in molti show televisivi, il comedian Pietro Diomede è stato al centro del più classico social shitstorm per una battuta su twitter sul recente omicidio di Carol Maltesi. Una battuta che è finita subito nell'occhio del ciclone, e che, sommata alle altre che si ritrovano sempre sul suo profilo, sempre di stretta attualità - dal presunto avvelenamento di Abramovic alla malattia di cui soffre Bebe Vio, dalla recente vicenda di Will Smith fino alle sorelle Williams - hanno addirittura portato il famoso locale milanese Zelig a far chiudere i battenti al suo show.
Può un comico vedersi chiudere anzitempo uno spettacolo per una battuta? Il tema è dibattuto periodicamente e tocca sempre la sensibilità dei più. Per rispondere a questa domanda, torniamo alla regola aurea di Lenny: "la satira è tragedia più tempo". Ma c'è, a parere di chi vi scrive, un sottocorollario. Bruce non diceva che occorre aspettare del tempo per fare una battuta su un fatto di cronaca, ma, più sottilmente, che, più la battuta è su un fatto recente, più deve essere... buona! La battuta di Diomede è oggettivamente di pessimo gusto, perché di pessima fattura. Mi vengono in mente almeno trenta nomi di comedian di qualsiasi nazionalità che non si sarebbero trattenuti dal fare una battuta anche su questa triste vicenda. Ma il famoso tempo "di attesa" non è tanto quello che serve per far raffreddare la sensibilità dell'opinione pubblica, quanto quello che serve probabilmente a elaborare una grande battuta, capace di disinnescare la polemica. Che i due tempi coincidano, è, va da sé, una... coincidenza.
Luther Conant affermava che "se la strada fa una biforcazione, seguila!". Ecco, questo è il percorso folle del comico satirico. Un percorso impervio, imprevedibile, verso un'unica meta: la risata. È quando questa non arriva che il pubblico salta sulla sedia e si indigna: se il divertimento non riesce a scalzare lo smarrimento, quest'ultimo si trasforma in rabbia. E usare la pornografia come chiave di volta della battuta, più che sconveniente, è molto noioso, parafrasando Noel Coward.
Se un teatro qualsiasi avesse censurato il "perfido" Diomede, passi. Ma che lo abbia fatto Zelig, lascia sinceramente intristiti. Per carità, Zelig non è l'erede del Derby, ha un pubblico diverso, famigliare e borghese, come diversa è la società attuale rispetto a quella degli anni Settanta. Ma, come ultimo brand storicamente legato alla comicità, dovrebbe ergersi a difenderne la sua più intima natura, non mettersi alla testa della folla coi forconi. Per carità, Diomede non ha visto cancellarsi un "suo" spettacolo, ma semplicemente l'accesso a un open mic. Stiamo parlando ancora di un "aspirante" comico. Ma un famoso detto recita "la censura è come l'appendice: inutile quando inerte, pericolosa quando attiva": ecco, lasciamo allora la censura al solo che è titolato a esercitarla, il pubblico.
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